Che rivela l'isteria delle multinazionali, il potere dei consumatori e altre cose che vi stupiranno.

Se non puoi batterli, unisciti a loro. Sembra essere questa la strada scelta da molti brand nel dibattito sull'olio di palma. A inizio anno ci hanno inondato di pubblicità sull'olio di palma sostenibile, poi hanno popolato i talk show di nutrizionisti ed esperti le cui ricerche erano finanziate dalle stesse multinazionali che utilizzano l'olio di palma, ora in pochi mesi riempiono le confezioni dei biscotti con le scritte "senza olio di palma". Ma noi cosa dobbiamo credere? Azzardo cinque piccole riflessioni, cercando di discostarmi dal già detto e scritto.

1. Qualcuno ci sta prendendo in giro

La prima riflessione è semplice: qualcuno ci sta prendendo in giro. Da un lato si citano ricerche scientifiche in cui si dice l'olio di palma fa male alla salute, ad esempio perché contiene il glicidolo esterificato, che secondo l'Autorità europea per la sicurezza alimentare è "genotossico e cancerogeno".

Dall'altra che è sostenibile e sano: ad esempio il professor Giorgio Donegani, dopo aver letto «con attenzione le oltre 150 pagine del rapporto, per approfondirne il contenuto con indagini personali e farmi un’opinione precisa» ha dichiarato che «l’olio di palma in quanto tale non contiene sostanze tossiche» (in un'intervista all’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile).

Nell'attesa che la scienza faccia pace con sé stessa (e con i propri conflitti di interessi), il buon senso suggerisce di assumerne il meno possibile.

2. Le multinazionali hanno una crisi isterica

In mezzo a questo botta e risposta tra scienziati, le multinazionali dell'alimentazione sono in preda a una crisi isterica. A marzo 2016 alcune delle più importanti aziende (Ferrero, Unilever, Nestlé e Unigrà) hanno lanciato una campagna pubblicitaria del valore di 10 milioni di euro per promuovere l’olio di palma come alimento sano (ma sulla base di quali studi?) e sostenibile. Otto mesi dopo molti colossi dell'alimentare (Barilla, Coop, Colussi) stanno riempiendo le confezioni di slogan "senza olio di palma", tanto da scatenare l'ironia della rete e la fantasia dei copywriter.

Resta da capire se la corsa a sostituire olio di palma con altri tipi di grassi sia una scelta salutista e ambientalista o una presunta opportunità di marketing. Che sia davvero un'opportunità è tutto da vedere: se lo stesso brand che fino a ieri ha riempito le nostre dispense di prodotti all'olio di palma comincia a comunicare il "senza olio di palma" come valore aggiunto ci vorrà poco a instillare nella testa dei consumatori la fatidica domanda: e allora per anni mi hai venduto prodotti che fanno male alla salute? È con questi errori che si distrugge la fiducia dei consumatori.

3. I consumatori non credono più nei brand

E infatti i consumatori non hanno creduto alla campagna campagna per l’olio di palma sostenibile. A dimostrarlo è una "segretissima" indagine di mercato ad uso interno per le aziende della European Palm Oil Alliance e "da divulgare solo a persone autorizzate". Io l'ho trovata con una ricerca su Google e ne ho tratto i grafici inseriti in questa pagina.

Dice che in Italia più di una persona su 4 sa che esiste l'olio di palma sostenibile (era una su 6 l'anno prima), molto più che in Francia e Belgio (una su 10) o in Spagna, Germania e Polonia (una su 20). Questo significa che i 10 milioni di euro investiti nella campagna pubblicitaria sull'olio di palma sostenibile non sono stati buttati via.

Conoscenza-dell'olio-di-palma-sostenibile

Eppure, paradossalmente, nello stesso periodo in cui è cresciuta la conoscenza dell'olio di palma sostenibile è cresciuta anche la percezione che sia dannoso per l'ambiente: se alla fine del 2015 il 28% degli italiani pensava che fosse il peggior grasso in termini di impatto ambientale, qualche mese dopo (quando l'attività dell'Unione italiana per l’olio di palma sostenibile era già iniziata) la percentuale era salita al 32%. Anche in questo caso le dinamiche della comunicazione sono infide: dichiarando con questa forza che esiste un olio di palma sostenibile si sta anche dicendo che il restante è dannoso per l'ambiente, distruggendo la reputazione di questo ingrediente. 


4. Il potere dei consumatori

Tutto questo ci fa capire quanto è grande l'influenza dei consumatori sulle scelte dei brand, tasto su cui abbiamo già battuto. Nel caso dell'olio di palma stiamo parlando di un giro d'affari da 30-40 miliardi l'anno, basato su una coltura con rese eccezionali - le sue 3,7 tonnellate di olio per ettaro non sono nemmeno paragonabile alle rese di colza (0,7) girasole (0,6) e mais (0,4) - e la cui produzione è triplicata in meno di vent'anni. Come è stato possibile arrestare questa ascesa?

Grazie alle iniziative dal basso, come la petizione lanciata dal Fatto Alimentare che ha raccolto 176 mila firme. L'impatto si legge nell'indagine di mercato della European Palm Oil Alliance: fra l'inizio del 2014 e la metà del 2015 la percentuale di italiani che pensano che l'olio di palma sia il peggior grasso per la salute è passata dal 10% al 30%. Un incremento che non ha eguali al mondo e che è stato classificato nel rapporto già citato come "alarming increase in negative perception" (aumento allarmante della percezione negativa). Ecco spiegato, in numeri e parole, il potere dei consumatori.


5. Paese che vai, grasso che trovi

Ma perché non in tutti gli stati si hanno gli stessi risultati? La percezione negativa è un fatto che riguarda in particolare tre Paesi: l'olio di palma è considerato il grasso che fa più male alla salute in Italia e in Francia (dove l'impatto è anche più alto che da noi), mentre in Belgio è al secondo posto dietro al burro. E questa è un'ulteriore conferma dell'efficacia di quelle azioni dal basso nate in Italia e in Francia (e da qui arrivate in Belgio sfruttando la stessa base linguistica).

E gli altri Paesi? In Spagna credono che sia meno dannoso di lardo e olio di colza. In Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e Cina il grasso ritenuto più pericoloso è il lardo, davanti a margarina e burro. Si discostano la Turchia (margarina) e l'Arabia Saudita (burro chiarificato). 

Matteo Lusiani Sa di non sapere, per questo si informa.

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