I colossi dell'alimentare temono le scelte dei loro clienti, sempre più interessati a uno stile di vita sano.

Quanto è grande Big Food, il gruppo di multinazionali che controlla il settore alimentare? La risposta è tanto. Ma tanto tanto. Diciamo, in un certo senso, più grande e più potente del presidente degli Stati Uniti (tra poco vi spiego perché). Eppure anche loro hanno paura di qualcuno. Hanno paura dell’ultimo anello della catena: hanno paura di te. 

La guerra di Obama

Tutto questo emerge bene in un articolo di Michael Pollan sul New York Times Magazine (lo trovate qui), tradotto in Italia su Internazionale. Pollan, autore di numerosi libri d’inchiesta sul cibo (qui ne trovate parecchi), racconta le vicissitudini degli ultimi anni dei colossi dell’industria alimentare. A partire da quando Barack Obama, durante la sua prima campagna elettorale nel 2008, dichiarò che l’agricoltura statunitense “contribuisce all’emissione dei gas serra più del settore dei trasporti” e che sta creando monocolture “che sono in parte responsabili dell’esplosione dei costi della sanità perché possono provocare diabete di tipo 2, infarti, cardiopatie e obesità”.

Durante la sua campagna, Obama si era schierato con i piccoli agricoltori e allevatori contro Big Food e si era spinto fino a dichiarare che i cittadini hanno il diritto di sapere da dove viene il cibo e se è OGM. Ma soprattutto, una volta eletto, ha subito avviato una grande inchiesta contro le pratiche anticoncorrenziali delle multinazionali del cibo. Cosa è successo dopo?

Il contrattacco di Big Food

Purtroppo il movimento per l’alimentazione sana non ha una rappresentanza a Washington, mentre Big Food sì: finanzia l’attività politica di molti esponenti del Congresso. Tanto per fare un esempio, nel 2010 la sola industria della carne ha speso 9 milioni di dollari in attività di lobbying. Così, tra le maglie della politica, l’inchiesta si è persa e a partire dal 2012 i fondi per la divisione antitrust del dipartimento per l’agricoltura sono stati pesantemente tagliati. Addio guerra ai colossi. Obama non è nemmeno riuscito a censire gli allevamenti intensivi di bestiame. Big Food ha vinto su tutta la linea.

La vittoria delle multinazionali

Forse ricorderete che poco dopo l’elezione del marito, Michelle Obama aveva creato un orto biologico nel giardino della Casa Bianca. Negli anni successivi ha aperto una Fondazione e ha avviato diverse iniziative e campagne promozionali a favore della sana alimentazione facendo leva sulla sua popolarità. Il più grande risultato è stato di concentrare l’attenzione della popolazione sul tema. I risultati concreti però non sono stati altrettanto soddisfacenti.

È vero che Michelle Obama è riuscita a convincere la grande distribuzione a ridurre di 1.500 miliardi il numero totale delle calorie nei cibi esposti nei supermercati, ma gli studi hanno poi dimostrato che il trend di mercato avrebbero condotto allo stesso calo anche senza questo accordo. Le multinazionali sono riuscite a far passare qualcosa che avevano già in programma come una concessione, senza rimettere nulla. Game over. Big Food win. Again. 

Un nuovo pericolo: i consumatori

Mentre le multinazionali dell’alimentazione stravincevano la loro battaglia con i coniugi Obama cominciavano a scricchiolare per altri motivi: “Il futuro dell’alimentazione non si deciderà solo nei corridoi del potere. Esiste anche una  componente culturale, e qui Big Food ha un grande problema”, ha scritto Michael Pollan. Le vittorie ottenute a livello politico sono state anche estremamente impopolari e per questo molte aziende hanno cercato di tenere nascosto il loro coinvolgimento: “La mancanza di trasparenza è destinata a creare sfiducia, e questo potrebbe danneggiare il capitale più prezioso nelle mani di Big Food: i suoi brand”.

“Big Food può fermare il cambiamento a Washington, ma la sua strategia è destinata a fallire sul mercato. L’industria sta faticando ad adattarsi a uno scenario in rapida evoluzione che non è in grado di controllare. Ecco perché le aziende stanno comprando marchi biologici e artigianali, sperando di scoprire il segreto del loro successo (che non è un segreto: semplicemente capiscono e rispettano i valori dei nuovi consumatori)”.

I movimenti dal basso, l'opinione pubblica, le petizioni e gli altri strumenti in mano al "popolo" hanno un potere immenso: possono costringere le grandi industrie del cibo a modificare le loro strategie (come è successo anche con l'olio di palma).

Matteo Lusiani Sa di non sapere, per questo si informa.

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