I piccoli produttori italiani sono già in competizione con i colossi del Canada e dell'Est Europa, ma presto dovranno affrontare una nuova sfida.

Da dove arriva il grano che portiamo sulle nostre tavole? La risposta più veloce è: dall’estero. Parlando di grano duro (quello che serve per la pasta), l’Italia ne produce ogni anno 4 milioni di tonnellate e ne consuma 3, di cui 2,5 (l’83%) arrivano dall’estero a prezzi (e qualità) molto più bassi rispetto al nostro. Va meglio per il grano tenero: quasi tutti i 3 milioni di tonnellate che produciamo supportano il fabbisogno interno di 7 milioni di tonnellate. 

Il grano che non produciamo arriva principalmente dal Canada, uno dei più grandi produttori mondiali, ma l’Est Europa è un mercato in grande ascesa. Anatoly Medetsky ha scritto su Bloomberg un interessante articolo (qui potete leggerlo in lingua originale) sulla vertiginosa crescita della produzione di grano in Russia, che sta già togliendo spazio al grano americano in Egitto, il più grande acquirente al mondo, ed è in forte crescita sugli altri mercati.

"Dalle coste del Mar Nero e dalla zona centrale del fiume Volga, fino alla steppa siberiana bruciata dal sole, la cintura agricola della Russia sta vivendo una rinascita trainata dal grano. Con il turbo innescato dalla svalutazione del 45% del rublo rispetto al dollaro nel corso degli ultimi anni e dai raccolti eccezionali, i produttori locali affollano i mercati di esportazione a lungo dominati dai grandi agricoltori occidentali".

I motivi dell'ascesa

Tre sono i principali motivi dell'ascesa del grano russo. Il primo è quello geografico e politico.


"I terreni ricchi, il sostegno del governo e la vicinanza ai porti del Mar Nero per il trasporto significa che i costi del grano russo possono arrivare anche alla metà di quelli dei principali concorrenti che riforniscono i mercati chiave in Medio Oriente, secondo i ricercatori della Kansas State University".

Poi ci sono i cambiamenti climatici.

"Viktor Borodaev, 64 anni, ha detto che lui e gli altri agricoltori non hanno tutto il merito del recente boom: «Abbiamo avuto una grande mano da Dio e dalla natura», ha detto, riferendosi al clima favorevole che ha prodotto raccolti eccezionali negli ultimi anni".

E le innovazioni tecnologiche.

"I nuovi trattori con GPS lavorano 24 ore al giorno, con tre turni di piloti. I margini di profitto sono saliti al 90% lo scorso anno e gli utili dovrebbero essere anche superiori quest'anno, ha detto Borodaev".

Il valore aggiunto dell'origine italiana

Mi tornano in mente le parole di Luca Ginestrini, vicedirettore di Confindustria Arezzo e promotore del funerale del grano italiano: il problema del nostro Paese è «fare in modo che l’attestazione dell’origine italiana attribuisca al grano duro più valore aggiunto mantenendolo nei vari passaggi all’interno della filiera e fino alla vendita al dettaglio».

Insomma, secondo Ginestrini la priorità è creare un sistema di tracciabilità dal campo allo scaffale, un'esigenza tanto più urgente se la Russia diventerà un nuovo colosso, come il Canada, nell’esportazione di grano. Ma attenzione, la tracciabilità deve riguardare anche i passaggi intermedi e deve specificare le lavorazioni utilizzate se vuole essere davvero efficace. Avere un grano italiano di ottima qualità, magari antico, e usarlo per produrre una pasta essiccata ad alta temperatura non ha alcun senso: serve solo per scrivere "grano italiano" sulla confezione, ma dà poco o nessun valore aggiunto al prodotto. Le materie prime di qualità vanno lavorate artigianalmente (o semi-artigianalmente): ben vengano strumenti che tutelino i consumatori non solo sull'origine, ma sulla qualità del prodotto finito.

Matteo Lusiani Sa di non sapere, per questo si informa.

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