Sostiene che il grano italiano sia di bassa qualità, ma non è vero.

Martedì 23 maggio Oscar Farinetti è stato ospite di Deejay chiama Italia, la fortunata trasmissione radiofonica condotta da Linus e Nicola Savino. Ha presentato il suo ultimo libro, Ricordiamoci il futuro, dove torna sui temi che gli stanno a cuore attraverso racconti in cui compaiono personaggi storici e contemporanei (sul sito di Radio Deejay l'audio dell'intervista). Ovviamente tra gli argomenti tocca anche quello del grano.

Siamo al minuto 7.55, Farinetti ha appena finito di raccontare che suo padre faceva il pastaio e che lui è nato in mezzo alla semola. Nicola Savino chiede: «Cosa ne pensi della demonizzazione delle farine bianche?». Ecco la risposta:

«Ne penso malissimo. Penso bene delle farine e delle semole da grano tenero e da grano duro, che sono meraviglie. In una delle storie del mio libro c'è Plinio il Vecchio che spiega la storia dell'agricoltura. Tutto nasce nella Mezzaluna fertile, tra il Tigri e l'Eufrate. Gli umani allora tentavano di replicare il grano perché gli piaceva tanto, ma non ce la facevano. Sono partiti col farro, con l'orzo e con tutti i lati B, per poi arrivare nei secoli a questa meraviglia, la farina bianca e la farina gialla, ovvero la semola. E adesso siamo arrivati al punto in cui mangiamo la pasta di farro e facciamo finta di godere, una follia pura. Mangiamo la roba buona».

In mezzo a questa tirata Savino si inserisce con un: «I detrattori dicono sia troppo raffinata», ma viene liquidato da Farinetti con un: «Ma no...», detto col tono con cui si pronuncerebbe un "non diciamo fesserie".

Questa rapida ricostruzione della storia del grano è per un verso sbagliata e per un altro fortemente reticente. E in entrambi i casi nasconde una visione industriale che utilizza quantità e velocità di produzione come parametri per giudicare la qualità del grano.

L'errore grave di Farinetti

È giusto dire che l'uomo, dopo essere passato da altri cereali, è poi approdato al grano e che ritenendolo superiore non lo ha più abbandonato. Ma non tanto perché è più buono, quanto per il fatto che il grano viene raccolto già privo dell'involucro glumeale che ricopre il chicco, mentre nel farro va eliminato dopo la raccolta con un passaggio di lavorazione in più.

Ma possiamo anche concedere a Farinetti questa "licenza narrativa", quello che non è concesso è questo passaggio: «...per poi arrivare nei secoli a questa meraviglia, la farina bianca». Detto così, sembra che per quasi due millenni l'uomo abbia cercato incessantemente una maggiore raffinazione della farina alla ricerca della tipo 00, che ha trovato nel Novecento dopo aver inventato il mulino a cilindri.

Questo è falso. E bisogna ribadirlo con forza: nulla, nella storia del grano, suggerisce che l'uomo abbia mai avuto l'esigenza di cercare una maggiore raffinazione. Anzi, sprecare la metà del raccolto (perché di questo stiamo parlando: la farina 00 ha uno scarto del 50%) non solo era un'assurdità ma avrebbe significato una tragica denutrizione visto che la metà scartata (crusca e germe di grano) è quella in cui sono contenuti la quasi totalità dei nutrienti (fibre e vitamine).

La verità è ben diversa.

  • L'esigenza di una maggiore raffinazione è nata con l'industria alimentare, perché togliendo al chicco di grano la crusca e il germe si eliminano le parti deperibili e si crea un prodotto a lunga conservazione.
  • La farina 00 è più facile da lavorare industrialmente, perché ciò che rimane sono solo amido e proteine che alla presenza di acqua si trasformano in glutine rendendo semplice e più veloce l'impasto attraverso i macchinari. 
  • La farina bianca non ha sapore e per questo non può assomigliare al gusto che sentivano gli Antichi Romani, che ovviamente la mangiavano integrale: oggi sono le farine meno raffinate, soprattutto la tipo 2 e la integrale, le vere depositarie del gusto del grano, quella «meraviglia» di cui parla Farinetti.

Quello che Farinetti non ha detto

Farinetti si dimentica di precisare che il grano che mangiamo oggi non è il grano che mangiavano i Romani. Le varietà di grano sono cambiate molto nel corso dei secoli alla ricerca del migliore equilibrio tra resa e gusto fino a trovare alcuni vertici di perfezione (o quasi) nella prima metà del Novecento con l'invenzione del grano duro Senatore Cappelli e di grani teneri come il Mentana o il Verna (che hanno affiancato il Gentil Rosso, diffuso già da qualche secolo).  

Dalla metà del Novecento in poi, invece, la selezione del grano ha cambiato parametri: non più resa e gusto, ma resa e resistenza alle lavorazioni industriali. Le varietà di grano sono diventate sempre più proteiche senza che ci fosse alcuna esigenza nutrizionale o organolettica: la vera esigenza era di avere un impasto che non si spaccasse alle altissime temperature. Così nel corso degli ultimi decenni le temperature di essiccazione della pasta si sono alzate dai 40-45°C delle lavorazioni tradizionali fino ai 115-120°C delle odierne lavorazioni industriali, con tempi che si sono accorciati da 24-48 ore fino a 2-3 ore e un conseguente incremento esponenziale della produzione. Insomma, sull'altare dell'industria l'uomo ha sacrificato proprio il gusto del grano che Farinetti tanto elogia. 

Il (presunto) problema della qualità

In precedenza Farinetti aveva dichiarato su La7: «Il grano italiano non è di alta qualità. Quello canadese, ad esempio, è qualitativamente superiore». Anche questo è falso, perché il patron di Eataly si riferisce solo alla quantità di proteine, che è superiore nei grani moderni ed è ancora maggiore nei grani coltivati con la tecnica del preharvest (ne abbiamo parlato nell'articolo sul glifosato), che consiste nel seccare la pianta con l'utilizzo di pesticidi prima della raccolta, quando il grano ha un maggiore contenuto di proteine.

In realtà anche in questo caso Farinetti denota una visione fortemente industriale che fa a pugni con la dichiarazione che si legge nel Chi siamo del sito eataly.net: "Eataly nasce riunendo un gruppo di piccole aziende che lavorano nei diversi settori dell'enogastronomia". Infatti il disciplinare della pasta prevede una quantità minima di proteine di appena 10,5g per 100g di prodotto e tanto basta ai piccoli pastifici artigianali che lavorano ancora il grano con tempi lenti e a basse temperature. L'industria pastaia, però, come detto sopra richiede un tenore proteico più alto. Ed ecco spiegata la presunta maggiore qualità del grano canadese: non è davvero superiore, è semplicemente più facile da lavorare industrialmente.

La vera qualità, fatta di caratteristiche organolettiche e nutrizionali, continua a premiare i grani italiani. Ed è un peccato che Farinetti, che dell'italianità è diventato un rappresentante internazionale, non lo riconosca.

Matteo Lusiani Sa di non sapere, per questo si informa.

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